Sogni da un mondo che c’è già

La prima persona che incontro è mio padre: il suo aspetto è quello di sempre, pacifico, calmo, deciso ma sereno. Nel suo volto non c’è nessun segno di quella sofferenza che ha caratterizzato gli ultimi suoi mesi di vita, e forse anche per questo il solo vederlo fa passare tutte le sensazioni di questi anni di mancanza e dei mesi precedenti alla sua morte: dolore, paura e fino ad ora tanta tanta nostalgia.

E’ strano, perchè quando mi è capitato di pensarci nella vita reale ho sempre sentito di avere un’infinità di cose da dirgli, ma adesso che ce l’ho davanti come non osavo più neanche immaginare non ho niente da dirgli. Non perchè mi si sia legata la lingua, ma perchè so, avverto, che lui sa già tutto. E il non raccontarglielo non mi manca affatto, perchè dentro di me so già che quelle cose le ha viste ed ascoltate tutte le volte che nei mesi e negli anni scorsi avrei avuto voglia di dirgliele. Non ci siamo mai distaccati del tutto e adesso è questa consapevolezza a darmi così tanta pace.

Adesso che camminiamo insieme parlando in un linguaggio nuovo che non prevede parole, sento di non avere ansie e preoccupazioni, che i problemi di ogni giorno sono quasi svaniti: se mi concentro riesco a vederli ancora davanti a me, ma sono piccoli, insignificanti rispetto all’immensità del tutto che adesso riesco ad assaporare.

Mi rendo conto che in questa dimensione che non avrei immaginato, c’è una cosa che invece è precisamente uguale a come l’avevo pensata nella vita normale: riesco a cogliere il senso di tutto. Della vita e della morte, della pace e della guerra, della povertà più sanguinosa e della ricchezza più irriverente. La mia non è tanto una presa di coscienza, di consapevolezza, ma la normalità che finalmente si è manifestata in tutta la sua evidenza, come se non avesse in alcun modo essere potuto essere diversamente.

Non ho più il mal di schiena e non me ne chiedo il motivo, perché anche quello fa parte del tutto che ora conosco. Sento di essere in grado di fare tutto quello che avrei voluto: giocare a calcio senza evitare i contatti fisici, camminare senza fine su sentieri di montagna.

Elisa e le mie figlie sono con me, anche se in questo momento non le vedo. Non ho più ansie sul loro futuro e su quello che di bello o di brutto gli toccherà vivere, perché sento che tutto avrà un senso nel grande disegno della vita.

Mi sveglio improvvisamente. Vedo dalla finestra, che lascio sempre con le persiane aperte, che sta albeggiando. Il subconscio (si dice così?) mi rimanda qualche traccia del sogno fatto: il pensiero di aver incontrato babbo, la pace, il senso di tutto. Non rivedo più la sua figura e sento che i nodi che intricano il senso della vita sono di nuovo intricati. Ma scendo dal letto con un sorriso, sapendo che il sogno nel quale quei nodi erano finalmente sciolti e in cui l’invisibile era diventato invisibile è stato il legame fra il mondo di oggi e quello che già c’è e che un giorno sarà visibile.

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