Il racconto di una spiaggia vuota

A Steccato di Cutro, oggi, era una giornata bellissima: spiaggia piena di bagnanti, ma non troppi da rendere invivibile la convivenza, mare calmo, trasparente e un sole caldo reso sopportabile da una brezza leggera.

La spiaggia, in quel tratto della Calabria, è molto spesso libera, intervallata solo da qualche struttura balneare.

È proprio alla fine di una di queste che iniziava un tratto di spiaggia quasi completamente vuoto; aspetto che ci è subito balzato agli occhi arrivando sul bagnasciuga.

Abbiamo capito rapidamente che quello era il tratto di mare nel quale, nella notte fra il 25 e il 26 febbraio di quest’anno, è naufragata l’imbarcazione carica di migranti, provocando la morte di almeno 94 persone.

Camminando sul bagnasciuga abbiamo raggiunto quello spicchio di spiaggia. Anche parlandone dopo fra di noi non siamo riusciti a capire se il non utilizzo di quel pezzo fosse dovuto ad una scelta condivisa di rispetto nei confronti delle vittime del naufragio, alla decisione insindacabile di una autorità deputata o semplicemente ad una valutazione per la quale non erano necessarie parole di spiegazione.

Quelli che conoscono il mare dicono che questo riconsegna alla terra le cose anche dopo molti giorni, settimane e talvolta addirittura mesi: non so se è stato così anche per gli oggetti che abbiano visto sulla spiaggia, ma certo è stato molto toccante vedere un grosso pezzo di legno, evidentemente parte di una imbarcazione, alcuni indumenti invernali e soprattutto una giacca a vento viola da bambino. Erano tutti raccolti nello spazio di pochi metri, in questo momento non proprio vicini alla riva ma probabilmente lasciati lì dalla risacca della marea invernale molto più alta.

Guardando avanti per un centinaio di metri, verso la zona nella quale la nave si è spezzata, non mi è sembrato di vedere quella secca, quella zona di acqua bassa che ha ingannato la persona che guidava l’imbarcazione, scafista o migrante che fosse. Non ho visto il tranello giocato dal mare ma ho pensato che quelle persone, vedendo la riva così vicina, si saranno sentiti quasi al sicuro, nonostante il mare i tempesta. È stato terribile immaginarsi la scena del passaggio dalle urla di incoraggiamento per una salvezza ormai prossima a quelle di terrore della consapevolezza della morte imminente.

La gente di Cutro non dimentica questa tragedia che li ha visti spettatori addolorati e attoniti: lo dice quel pezzo di spiaggia spoglio e vuoti, lo dici il monumento realizzato nella piazza che indirizza verso il mare.

Cutro non dimentica ed è normale e giusto che la vita vada avanti, soprattutto per coloro che campano di turismo e non possono proprio permettersi di perdersi i mesi più redditizi dell’anno. Eppure, nonostante questa consapevolezza, era proprio stridente il contrasto fra quello spicchio di sabbia e le spiagge attorno piene di turisti a prendere il sole e a godersi quel mare meraviglioso; fra l’allegria e la spensieratezza di queste persone e di questi giorni e l’incubo senza fine di chi ha perso la vita in quel naufragio ad un passo dalla riva e di chi ha visto morire parenti, amici e compagni di viaggio.

Noi oggi ci siamo fermati su quel pezzo di spiaggia, per un pensiero e una preghiera. Non lo abbiamo fatto per mettere in evidenza chissà quale bravura e sensibilità, ma solo nella speranza che questa tragedia, così come le molte altre successe nei mesi e anni scorsi, possano aprire i nostri cuori alla solidarietà, per sentire la bellezza di cambiare quella parola così abusata in questi anni, ‘io’, in un ‘noi’ che dia di nuovo la speranza di un mondo più giusto e solidale.

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