La fortuna di ‘fare un bel lavoro’

Lavoro in un progetto che ha come obiettivo la promozione dell’autonomia socio economica di persone straniere, titolari di protezione internazionale. E sì, il mio lavoro mi piace tantissimo. Mi piace perché dietro alla definizione “progetto che ha….” ci sono delle persone in carne ed ossa. E a me lavorare con le persone piace, anche se talvolta è faticoso, qualche altra frustrante, raramente deludente, molte volte stimolante e, talvolta, addirittura entusiasmante. Mi piace per questi motivi, tutti, non solo per l’ultimo.

Guardandomi indietro mi sembra di vedere con chiarezza che il mio lavoro di oggi è la sintesi quasi perfetta delle cose che ho fatto fino ad ora e dei valori nei quali ho sempre creduto, quelli della solidarietà, dell’aiuto al prossimo, della parità di diritti e di opportunità e dei diritti umani per tutti.

Ho avuto la fortuna di fare volontariato fin da ragazzo e di aver potuto girare il mondo come volontario, in Kenya, Angola, Mozambico, Burkina Faso, Brasile, Perù. Soprattutto grazie a queste esperienze, oggi, riesco a vedere, nei ragazzi per e con i quali lavoro, quelli che ho conosciuto, ormai un po’ di anni fa, in Africa e in America del Sud. E posso anche un po’ dire che ho conosciuto l’Asia dai volti e dai racconti dei ragazzi pachistani, afgani e bengalesi, pur non avendo mai viaggiato in quel continente.

Spesso dico che ‘nella mia vita precedente ho ricoperto incarichi politici’. La descrivo ‘vita precedente’ non per marcare una cesura ma, anzi, per descrivere un’evoluzione, fosse altro che cronologica, del mio percorso. Perché l’impegno politico è stato senz’altro una conseguenza di quello come cooperante volontario, ma è stata anche la base per conoscere di più e meglio le tematiche delle quali adesso mi occupo. In questo senso credo di poter dire che ho concretizzato l’impegno politico in un ambito che è uno spaccato del “tutto”, perché pochi temi come quello della gestione dei fenomeni migratori racchiudono al loro interno la complessità dell’argomento, la banalizzazione estrema da parte del dibattito politico mainstream, il legame fra il locale delle organizzazioni e delle comunità impegnate nell’accoglienza e il globale delle scelte economiche e geopolitiche che le producono, le grandi migrazioni di massa.

Amo il mio lavoro, infine, perché mi sembra un’ottima concretizzazione, anche in questo caso, della frase evangelica “ama il prossimo tuo come te stesso”. Anche quando il prossimo è profondamente diverso da te, anche quando, soprattutto, il tuo prossimo fa letteralmente di tutto per non farsi amare, ma quasi tutto per provocarti la reazione opposta. Amare oltre ogni logica. Non credo assolutamente di riuscirci, ma è bello ogni giorno avere lo stimolo per farlo.

Nel mio lavoro sperimento ogni giorno l’impotenza e la frustrazione della distanza fra i nostri sogni di promozione e di aiuto reciproco ed una realtà molto spessa fatta di rifiuti e ambiguità. Ma sento di amarlo, il mio lavoro, perché nonostante le non poche delusioni, queste non spengono (quasi) mai la passione, la voglia di fare e, soprattutto, di sognare.

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