Dalle drammatiche vicende afgane mi sembra che emergano almeno tre insegnamenti importanti.
Il primo e forse il più evidente è che uno Stato non si crea con una guerra e con una successiva occupazione armata. Con una guerra, al massimo, si può sconfiggere un nemico. Quasi mai annientandolo, peraltro, come le vicende di questi giorni stanno dimostrando. Per la creazione di uno Stato libero, oltre alla sconfitta del tiranno, servono anche altri fattori, come la condivisione di valori comuni e il rispetto per le diversità che lo compongono.
Il percorso che porta a condividere valori e a rispettare le differenze, però, ed è il secondo insegnamento, è un percorso lungo, che non si abbrevia in alcun modo con il ricorso alle armi. A chi si opponeva all’intervento armato americano e poi della Nato in Afghanistan nel 2001, sostenendo che la democrazia non si esporta, e tanto meno con la forza, veniva spesso risposto che eravamo dei sognatori utopistici perché credevamo ancora nella forza e nella fatica del dialogo e della ribellione della maggioranza spesso silenziosa. Ci veniva detto anche che la costruzione di un’alternativa democratica dal basso avrebbe richiesto anni, mentre in quel momento era necessaria un’azione rapida e definitiva. Dopo vent’anni, ora che i talebani sono di nuovo al potere, è chiaro a tutti che quella risposta non è stata né rapida né definitiva, semplicemente perché la risposta a problemi complessi non prevede scorciatoie.
Il terzo insegnamento è che la libertà richiede libertà. Già nel 2006 le organizzazioni presenti in Afghanistan avevano condiviso un documento nel quale chiedevano di trasformare l’intervento occidentale, aumentando il ruolo delle organizzazioni che si occupano di sviluppo e di cooperazione e diminuendo quello dei militari. L’obiettivo di questa richiesta era proprio quello di favorire la crescita e lo sviluppo di una società civile autonoma, capace di porre fondamenta solide sulle quali costruire una società nuova e pacificata. Purtroppo quella richiesta non venne accolta e si preferì continuare a raccontare la retorica della libertà consegnata dagli eroi sui carri armati.
È evidente che questi tre mesi insegnamenti non siano ormai utilizzabili nel contesto afgano, ormai indirizzato verso un orizzonte del tutto nuovo e ancora non decifrabile. È altrettanto chiaro, però, che dovremmo fare tesoro di queste tre lezioni per evitare di trovarsi anche in futuro in un pasticcio inestricabile come quello che stiamo vivendo.