Durante la mia esperienza di volontariato in Angola, un giorno, era l’agosto del 2002, ebbi la possibilità di parlare di Diritti Umani con alcuni ragazzi che frequentavano la scuola delle suore della missione che ci ospitava, l’unica nel raggio di diverse decine di chilometri.
Ricordo quel giorno perchè rimasi sconvolto del fatto che quei giovani aspiravano a godere di diritti che, nella nostra parte di mondo, davamo ormai per scontati: il diritto al gioco, quello a camminare liberamente sulla spiaggia che si trovava proprio di fronte alle loro baracche, il diritto di poter studiare. L’Angola, il loro Paese, era uscito da quattro mesi da una guerra civile che era andata avanti per più di venticinque anni; per questi ragazzi, quindi, quei quattro mesi erano i primi vissuti senza il pericolo di bombardamenti, di uccisioni, di violenze. Il primo periodo di pace, insomma. Una pace ancora fragile: per le strade della capitale, quando si usciva dal centro, si vedevano ancora dei carri armati che presidiavano il territorio, qualche notte sentimmo anche degli spari isolati. Ma per la prima volta dopo tanti anni la situazione era tutto sommato abbastanza tranquilla.
La testimonianza diretta di quei giovani mi fece scontrare con l’evidenza che la guerra, la povertà, l’insicurezza, avevano minato fin dall’inizio della loro vita il loro diritto all’autodeterminazione, il diritto di decidere e di ‘costruire’ la persona che avrebbero voluto diventare.
Racconto questo episodio proprio oggi, perchè è la Giornata mondiale dei diritti umani, che si celebra il 10 dicembre di ogni anno, nel giorno nel quale, nel 1948, venne proclamata da parte dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Un documento scritto e pubblicato subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, quando l’umanità provava a rimettersi in piedi dopo anni di distruzione, milioni di morti e l’abominio dell’Olocausto. Proprio in virtù di quello che il mondo aveva appena vissuto, l’Assemblea delle Nazioni Unite volle sancire in 30 articoli il diritto di ogni essere umano ad esprimere la propria persona e di essere tutelato per come realmente è senza discriminazioni e violenze.
Fu proprio durante quelle settimane in Angola, e qualche anno prima, sempre in una esperienza di volontariato, in Brasile che compresi per la prima volta il valore inestimabile dei diritti esplicitati in quella dichiarazione e di quanto anche quelli più elementari, compreso quello alla vita, fossero ogni giorno messi in discussione per tante, troppe, persone. Avevo la fortuna e, nonostante il periodo difficile che stiamo vivendo, ce l’ho ancora di abitare in una parte del mondo nella quale da diversi decenni non conosciamo la guerra e viviamo in una situazione di serenità e di prosperità.
Ma, ancora oggi, sono milioni le persone che vivono in luoghi di guerra e che non hanno visto realizzati i diritti sanciti dalla Dichiarazione universale; segno evidente che i valori, i principi, per quanto importanti e nobili, se non viaggiano sulle gambe e nei cuori degli uomini, rischiano di restare parole retoriche, magari altisonanti, ma alla fine sostanzialmente inutili. Un motivo in più per non darli per scontati e per continuare a ribadire, con le parole, ma soprattutto con le azioni concrete, che “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.”