L’11 dicembre l’organizzazione per la quale lavoro ha concluso il servizio di accoglienza per richiedenti asilo, un percorso iniziato nel novembre del 2015.
Cinque anni sono un periodo di tempo più che sufficiente per poter dare un giudizio complessivo, un bilancio, che può tener conto di tanti fattori e che, come spesso succede, è carico di luci e di ombre, di aspetti positivi e di criticità.
Di sicuro, tanto per cominciare, abbiamo lavorato in questi anni nell’ambito, nel settore più malvisto dall’opinione pubblica, con una diffidenza e una contrarietà diffusa, fomentata in modo sconsiderato e irresponsabile da leader politici che, per un non breve periodo, hanno anche avuto altissime responsabilità istituzionali.
Credo però che, nonostante il discredito diffuso e spesso in malafede, questo lungo periodo, per la nostra come per le altre organizzazioni del territorio dell’empolese valdarno valdelsa, abbia visto l’impegno, la passione e la professionalità di tante persone, che hanno cercato di portare avanti e a termine il proprio lavoro aggiungendo quel di più di spirito di servizio e di ‘fedeltà alla causa’ che, in non poche occasioni, è stato un vero valore aggiunto. Nel tempo si è anche rafforzata e strutturata una collaborazione fattiva con le Istituzioni, all’inizio resa difficile da una situazione del tutto nuova, nei numeri e nelle modalità di accoglienza, ma che poi ha portato ad un miglioramento e ad una facilitazione dell’integrazione delle persone accolte. In questi anni, soprattutto, si sono creati legami importanti con persone che all’inizio ci sono ‘toccate in sorte’ (noi non avevamo scelto loro, loro non ci avevano scelti) ma con le quali siamo riusciti a creare, spesso grazie a loro, un rapporto di fiducia e di crescita, umana e professionale, che è alla base di qualsiasi risultato e che è il presupposto essenziale affinchè chi lavora in questo ambito possa esprimere quel valore aggiunto di cui dicevo.
Personalmente l’esperienza di questi anni è servita anche per concretizzare quel concetto, altrimenti vago, di ‘accoglienza delle persone migranti’ in una condivisione di un pezzo di strada con persone in carne e ossa, con un nome e un cognome, e soprattutto una storia, che era iniziata prima che ci conoscessimo e che continuerà anche alla fine di questo percorso e indipendentemente da me e da noi. Alla fine, io credo, sta qui il ‘riconoscere dignità’: sapere e riconoscere una persona, qualunque persona, come titolare di diritti, aspettative, doveri, sogni, indipendentemente dallo status giuridico al quale è legato.
Certo, ci sono stati anche tanti aspetti critici, tante ombre. La prima, io credo, è stata quella di non essere stati capaci, come sistema, di capire in tempo il clima che qualcuno scientemente stava creando e di conseguenza di saper rispondere, nel merito e nella sostanza, alle tante, troppe, fandonia e stupidaggini che venivano sparse ai quattro venti. Tanti di noi lo hanno fatto, ma troppo spesso singolarmente, senza avere la forza di farlo insieme, in modo tale da essere più credibili e da avere una voce più forte.
Non ha aiutato, da questo punto di vista, il non essere mai completamente usciti, anche per scelte politiche sbagliate e colpevoli, da quel clima di ‘gestione dell’emergenza‘ che, comprensibile e logico in un primo periodo, non ha più alcun senso ormai da qualche anno. Io sono sicuro, per esempio, che se avessimo superato prima la logica dell’emergenza saremmo stati maggiormente in grado di vedere e di isolare le poche, ma purtroppo non inesistenti, ‘pecore nere’ che non avevano messo al centro del loro operare l’accoglienza e l’integrazione delle persone, ma un business costruito proprio sulle spalle delle persone che avrebbero dovuto tutelare.
Errori, aspetti da migliorare, certo, come in ogni vicenda che va avanti per degli anni. Ma credo di poter dire con ragionevole certezza, che, se oggi in questo territorio ci sono due Sprar (successivamente Siproimi, adesso Sai) e altri progetti finanziati dal Ministero dell’Interno e da altre Istituzioni territoriali sia anche e soprattutto grazie all’esperienza di questi anni e a quello che questa ha portato, in termini di conoscenza della materia, di avvio di un lavoro di rete, di capacità di affrontare i problemi e di provare, magari insieme, a risolverli.
Si chiude, quindi, un periodo lungo e intenso, ma non finisce il percorso che abbiamo iniziato nel 2015; anzi, prosegue in altre direzioni e probabilmente con altri strumenti, con l’obiettivo di dare una forma nuova e più strutturata all’esperienza fatta e di contribuire quindi, insieme a tutte le tantissime e variegate realtà presenti in giro per il Pase, a rimettere i temi dell’immigrazione, dell’integrazione, della giusta accoglienza al centro del dibattito politico e culturale, evitando facili ma pericolose scorciatoie. Arrivando, magari ad una riforma organica di questa materia, unica soluzione che può dare una risposta certa e duratura, al contrario delle toppe emergenziali, che possono servire a gestire il presente ma che non consentono di immaginare un futuro e una prospettiva da seguire.