Finirà

Sono una persona che rimane difficilmente senza parole, non perché abbia chissà quali capacità oratorie o perché non abbia timori o paure, ma semplicemente perché, anche di fronte alle situazioni impensate o alle emozioni forti, le esprime o le esorcizza parlando.

Perché le parole alcune volte servono anche a questo, a darci la sensazione che stiamo superando un problema, che stiamo vincendo, anche quando nella realtà questa difficoltà ci sembra insormontabile. Guardiamo la vicenda del Covid: non esiste un giornale, una televisione, ma anche una giornata di lavoro o una telefonata con gli amici durante le quali riusciamo a non entrare in questo argomento. Certamente, la paura, il timore di essere contagiati, il numero di morti paragonabili a quello di una guerra; tutto questo, insieme alla fatica di un periodo ormai troppo lungo, ci spinge a parlarne in continuazione. Ma, oltre a questo, c’è anche la voglia di esorcizzare questa preoccupazione, come se già parlarne aiutasse a superarla.

“Andrà tutto bene”, ci siamo detti durante il primo lockdown. Io sono stato subito contrario a questo slogan, perché lo ritengo egoista e falso. Come si fa a dire che andrà tutto bene di fronte a decine di migliaia di morti? Il solo fatto che io, forse, non morirò giustifica il fatto che per me andrà tutto bene? Non è già andato tutto bene, anzi, è andato tutto molto molto male, nonostante l’impegno e l’impagabile servizio di tante donne e uomini che hanno lavorato assiduamente per bloccare questo virus maledetto.

“Andrà tutto bene” è stato lo slogan di una situazione che ci aveva lasciato senza parole e con il quale abbiamo reagito dandoci speranza. O forse è stato ‘soltanto’ lo slogan opposto a quello che molti di noi hanno provato durante le settimane e i mesi che si sono susseguiti: ‘è finita’. Per qualcuno è finita la vita, in alcuni casi nel giro di pochi giorni e partendo da una situazione di salute; per altri è finito il lavoro e con questo la capacità di provvedere ai propri bisogni e a quelli dei propri cari; per tutti è finita una situazione di spensieratezza. Tutti abbiamo dovuto in qualche modo confrontarci con il pensiero della malattia e della morte.

Niente sarà più come prima, anche dopo che questa emergenza sarà finita. Ma questa evidenza, questa situazione, non è necessariamente un dramma: continuo a sperare, anche se alcuni fatti indurrebbero a pensare il contrario, che usciremo da questa situazione più consapevoli dei nostri limiti e più desiderosi di concentrarci sulle cose essenziali della vita, tralasciando quelle superflue delle quali spesso eravamo colmi.

Forse, se proprio vogliamo trovarne una di parole adatte a questo periodo, questa è ‘finirà’: è una constatazione oggettiva, perché come tutte le pandemie della storia anche questa si esaurirà; non è soggettiva, perché finirà al di là del fatto che ciascuno di noi potrà vederne la fine; ed è neutra, perché è rassicurante rispetto alla fine del virus, ma non fa previsioni azzardate su come ne usciremo.

Finirà, quindi. Come, in che modo e con quali esiti e conseguenze sta anche noi determinarlo.

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