Durante il discorso di insediamento del suo Governo, il presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha fatto più volte riferimento ai giovani e ad un futuro da costruire e da rendere migliore di questo disastrato presente.
Un riferimento sicuramente importante, ma che rischia di diventare scontato, se non addirittura retorico, se non verrà subito seguito da azioni concrete.
Pensando ai giovani, a quelli che conosco, che seguo e ho seguito negli anni, mi vengono in mente due concetti in particolare, che li caratterizzano in maniera piuttosto generale: ascolto, nel senso del bisogno di essere ascoltati, e libertà. Due concetti solo apparentemente in conflitto fra loro, ma oggi profondamente messi in discussione, non solo dal contingente della fase storica che stiamo affrontando.
I giovani, per loro stessa natura, non solo hanno bisogno di essere ascoltati, per essere accompagnati nelle scelte e sostenuti nella crescita, ma spesso, e grazie al cielo, pretendono di esserlo. Ed è proprio questa pretesa che spesso li salva e salva gli stessi adulti da una vita concentrata solo su se stessi, in un presente monotono e ordinario. Il bisogno di essere ascoltati è senz’altro visibile nei contesti sociali in cui vivono, la famiglia, la scuola, lo sport e gli altri luoghi di aggregazione, ma lo è anche a livello generale, nei luoghi nei quali si disegnano le politiche e le scelte che in qualche modo determineranno il loro futuro. E’ qui che nasce la prima responsabilità della quale il presidente Draghi, se vuole essere coerente con quanto detto nel suo discorso, deve farsi carico: se si vogliono mettere in campo politiche che riguardano i ragazzi e le ragazze e non tanto e non solo il loro futuro, quanto la reale possibilità di immaginarlo e costruirlo, non lo si può fare senza un loro reale coinvolgimento, senza un ascolto dei loro bisogni e delle loro aspirazioni.
Un ascolto che non sarà facile da organizzare e preparare perché il divario tecnologico è anche e soprattutto intergenerazionale, perché i luoghi e le modalità di aggregazione sono cambiati nel tempo e ancora di più nel corso di questa crisi sanitaria e anche perché una delle necessità dei prossimi mesi e anni, quando questa emergenza sarà finalmente alle spalle, sarà anche quella di rieducarci ad un contatto fisico, ad incrociare gli sguardi, a parlare guardandoci di nuovo finalmente in faccia. L’esperienza della Didattica a distanza, sperimentata proprio da tanti studenti insieme ai loro insegnanti, ha dimostrato che le innovazioni tecnologiche hanno reso possibile ovviare a tanti inconvenienti e hanno reso possibili tante nuove attività, ma niente riesce a sostituire la bellezza di un incontro. Anche sui banchi di scuola.
La grande difficoltà di questo momento di ascolto, se un giorno verrà realizzato, srarà anche nel fatto che dovrà essere organizzato in modo tale che possa tenere insieme la concretezza delle decisioni da prendere con il rispetto della libertà.
Applicare il concetto di libertà da parte degli adulti nei confronti dei giovani rischia d’essere estremamente complicato, perchè, da una parte, può tramutarsi in una dannosa indifferenza (“ti do talmente tanta libertà, che io nel frattempo faccio altro e ti perdo di vista”), che non ha niente a che fare con il concetto di partenza, dall’altra perché può essere concessa con una serie tale di limitazioni da essere tale solo sulla carta (“sei libero, ma ricordati di….”). E’ in particolare quest’ultimo rischio che io vedo estremamente concreto nell’organizzazione di un momento di ascolto ‘istituzionalizzato’: mettere una serie infinita di paletti (di accesso, di elaborazione delle risposte, di temi da affrontare ecc…) da risultare comunque impositivo.
La libertà dei giovani, io credo, deve essere praticata mettendo insieme fiducia e cura.
La fiducia, in questo senso, è il perfetto contrario sia dell’indifferenza sia della propensione a mettere una serie di binari sui quali ‘concedere’ una parziale libertà: lo è perchè presuppone una conoscenza profonda e una valorizzazione delle capacità dell’altro. E perchè ha come conseguenza la cura: dare fiducia non implica eclissarsi dalla vita dell’altro, ma accompagnarlo e sostenerlo, anche con sincerità e schiettezza, nel suo percorso di persona libera e autonoma.
Fare politiche per i giovani significa, quindi, essere disponibili ad una nuova alfabetizzazione, quanto meno nella raccolta dei bisogni e della elaborazione delle soluzioni.
I ragazzi e le ragazze, quasi per antonomasia, sono quelli che danno forma e sostanza al futuro, perchè hanno un orizzonte temporale per costruirlo e perchè sanno vedere in forma dinamica il presente. Compito della politica, in un momento di presente fermo e ‘limitato’ e di futuro avvolto da una nebbia profonda che spesso rischia di togliere i punti di riferimento, è quello di essere credibile ed efficace nel presentarsi come lo strumento attraverso il quale i giovani possano costruirsi un domani.
Credo che sia abbastanza evidente la scarsa attenzione che ha questo paese per i giovani e per le politiche giovanili (un fatto emblematico e che trovo simpatico è che solo in Italia ci ostiniamo a parlare di Recovery Fund, quando il recovery fund è solo uno spicchio di un pacchetto più grande chiamato “Next Generation EU”, nome che indica la centralità che dovrebbero avere le nuove generazioni in questo contesto). C’è sicuramente un grande bisogno di essere ascoltati da parte di noi ragazzi, ma purtroppo è anche vero che siamo troppo spesso privati dell’educazione e delle strutture necessarie per imparare a dire la nostra e farci ascoltare. Nel corso del tempo, come dicevi tu, c’è tato un progressivo smantellamento delle realtà fisiche di confronto, dei luoghi e comunità di aggregazione che hanno impedito alle nuove generazioni di imparare a stare in una comunità, a elaborare delle idee e poi tradurle in azioni.
Rimangono ancora alcune (molto poche) realtà di aggregazione giovanile che funzionano abbastanza, ma sono eccezioni che si possono trovare solo nelle grandi città, come Roma e Milano, e spesso l’atteggiamento delle amministrazioni locali nei loro confronti non è accogliente (penso, ad esempio, al Nuovo Cinema Palazzo a Roma)
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