Al summit dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che si è svolto mercoledì scorso a Ginevra, si è riproposto, e purtroppo con gli stessi esiti, lo scontro sulla possibilità di sospendere i brevetti su cure e vaccini legati al Covid-19.
Anzi, per essere più precisi, lo scontro non c’è proprio stato, visto che, nonostante che sia espressamente prevista la possibilità di derogare al cosiddetto accordo Trips sulla proprietà intellettuale, i Paesi ricchi, sede delle più importanti aziende farmaceutiche del mondo, hanno alzato l’ennesimo muro a loro difesa, interrompendo sul nascere qualsiasi confronto in merito.
La concentrazione della produzione in mano a poche aziende, che hanno concluso accordi estremamente vantaggiosi sulla immediata distribuzione nei Paesi più ricchi e quindi maggiormente in grado di pagare ‘tanto e subito’, è una delle cause della situazione di vera e propria apertheid vaccinale, per la quale il 76% delle dosi è distribuita all’interno di questi Stati e soprattutto per la quale decine di Paesi devono ancora ricevere la prima dose di vaccino: su 192 Paesi colpiti dal virus erano 130 ad inizio febbraio e poco meno di cento qualche giorno fa.
Il tema della equa distribuzione dei vaccini e della possibilità di produrne in quantità sufficiente a provvedere all’intera popolazione mondiale, che emerge oggi in tutta la sua gravità, era stato visto con grande anticipo da Papa Francesco, che già diversi mesi fa aveva alzato la voce, una voce purtroppo restata isolata, nel chiedere che questo strumento indispensabile non fosse l’ennesima arma funzionale ad un ulteriore aumento delle diseguaglianze, ma, al contrario, potesse costituire il sigillo di un’alleanza per la ripresa mondiale. Il suo appello, come molti altri in questi anni di pontificato, è stato apprezzato, forse un po’ ipocritamente, nelle parole, ma è rimasto sostanzialmente inascoltato nei fatti, a causa soprattutto di una incapacità delle istituzioni continentali e mondiali di far fronte agli appetiti di Big Pharma. Eppure le istituzioni politiche, se volessero, sarebbero ben nelle condizioni di pretendere qualcosa dalle grandi aziende farmaceutiche, visti i 93 miliardi di fondi pubblici versati nelle loro casse nella spasmodica ricerca di una uscita da questo incubo planetario. Resta quindi il dubbio che il problema non stia tanto nell’incapacità o nella debolezza, ma nella non volontà e nella miopia di un governo mondiale che non riesce a capire il messaggio del Papa quando ci ricorda che da questa pandemia o ne usciamo tutti insieme o non ne usciamo affatto: lasciare centinaia di milioni di persone senza vaccino non è infatti solo un vergognoso atto di egoismo, ma rappresenta anche la drammatica certezza che non riusciremo a raggiungere quell’immunità di popolazione globale che rimane l’unica certificazione possibile della sconfitta del virus.
In una lettera al quotidiano The Guardian prima dell’inizio del summit, il segretario dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus, sostenendo la necessità della sospensione dei brevetti, aveva utilizzato le celebri parole “se non ora, quando?“. La risposta, ahimè, è arrivata ancora una volta forte e chiara: non ora e chissà se e quando.
Anche per questo parteciperò alla maratona di sottoscrizioni, prevista per il prossimo 7 aprile, giornata mondiale della salute, per fare in modo che dalla società civile prenda forza quella campagna di consapevolezza e di pressione fondamentale affinché i grandi (volutamente minuscolo) della Terra si decidano a fare dei vaccini uno strumento di comunione e non di divisione.