Non è un caso che quando ci troviamo a vedere un paesaggio o uno scorcio nel quale la natura regna incontrastata utilizziamo la parola ‘incontaminata‘. Inconsciamente sappiamo e lo esprimiamo, anche se in modo inconsapevole, che ciò che contamina, che sporca e in qualche modo avvelena è la mano dell’uomo. Dai tempi di Adamo ed Eva e del paradiso terrestre è sempre andata così. La perfezione della natura, della quale la terra fa parte, è l’immagine più evidente della mano di Dio. E’ per questo che quando proviamo ad esprimere la bellezza e la meraviglia non sappiamo fare altro che ispirarci a lei. Eppure non abbiamo ancora capito che lei basta a sè stessa, l’uomo no. Che non è nostra, semplicemente, ma siamo noi ad essere suoi, anche se da secoli ambiamo, senza successo, a trovare un pianeta alternativo in cui vivere.
E’ forse un caso che l’uomo è l’unico essere vivente che si autodefinisce intelligente, ma è anche l’unico che si dà da fare, e con ottimi risultati, per distruggere la sua casa comune? Delle due l’una: o questa autodefinizione è completamente sbagliata, oppure è semplicemente la dimostrazione lampante che l’intelligenza, da sola, è sostanzialmente inutile. Per dare un senso all’intelligenza servono l’uso responsabile della libertà, la capacità di condividere e una buona dose di umiltà.
Fino ad oggi l’uomo ha interpretato la propria libertà nei confronti della terra e della natura, sostanzialmente dovuta alla sua supremazia fisica e tecnologica, come un lasciapassare pressochè illimitato ad accaparrarsi tutte le risorse che il nostro pianeta mette a disposizione, senza interrogarsi e neanche interessarsi della capacità e dei tempi della terra per produrne di nuovi. Se lo sguardo sul mondo è quello del barbaro predatore è chiaro che la guerra non è solo nei confronti degli altri essere viventi, ma anche fra gli uomini stessi: per questo, potremmo dire da sempre, molte delle guerre combattute sono state dichiarate per conquistare posti e Paesi più ricchi dal punto di vista naturale. In questo scempio infinito raramente l’uomo si è reso un minimo consapevole del fatto che la distruzione della terra equivale anche all’estinzione della specie umana.
Oggi, nel mondo globalizzato nel quale viviamo non abbiamo più scuse: soltanto chi è in malafede può non credere al fatto che le nostre sorti sono collegate e che la bellezza infinita della natura si regge su un equilibrio precario, di cui tutti noi, in quota parte, siamo responsabili.
C’è un proverbio navajo che dice che “non abbiamo ricevuto la terra in eredità dai nostri genitori, ma in prestito dai nostri figli”: è dalla consapevolezza di questo prestito che dipende il futuro del mondo e di noi che lo abitiamo.