Dopo l’uccisione in Congo dell’ambasciatore Attanasio, come associazioni Mediterraneo Siamo Noi e Safari Njema, avevamo pensato di organizzare una iniziativa pubblica per informare sulla situazione di questo Paese e provare ad amplificare l’importanza del lavoro che l’ambasciatore aveva portato avanti fino al giorno della sua morte.
Grazie alla conoscenze da parte di Adele di persone, missionari e attivisti che hanno lavorato in Congo e all’impegno dei giovani di Safari Njema ieri si è svolta questa iniziativa pubblica, ed è stata davvero un successone. Provo, ancora a caldo, ad articolare quattro brevi riflessioni.
La prima, sull’argomento della serata: il Congo, la sua storia e i suoi problemi sono più vicini di quanto potremmo immaginare. Lo sfruttamento delle risorse, dal coltan al legno, dal petrolio ai diamanti, ritenute necessarie per il mantenimento del nostro stile di vita, sono quasi sempre alla base dei conflitti che da decenni sconvolgono questo Paese. Anche per questo, anzi, proprio per questo, ed è la seconda considerazione, non è vero che non possiamo fare niente. Come sempre incisivo, da questo punto di vista, l’intervento di padre Alex Zanotelli, il quale ha indicato quattro filoni di intervento estremamente concreti: verificare e controllare che la filiera di produzione e commercializzazione di prodotti che provengono da Paesi in guerra segua le indicazioni previste dalla recente normativa europea in materia di tracciamento dei prodotti stessi; fare attenzione nell’acquisto di telefoni cellulari, strumenti che più di altri richiedono l’utilizzo del coltan del quale il Congo è produttore quasi unico a livello mondiale (magari, suggeriva Alex, preferendo i fair phon, i telefoni equi, che esistono già, ma che ovviamente non godono di alcuna pubblicità); controllare su dove vengono impiegate le risorse della cooperazione italiana che, specialmente negli ultimi anni, vengono più destinate nel combattere le migrazioni nel nostro Paese che a programmi effettivi di sviluppo; proseguire nelle attività di informazione su questi e altri temi. Mi sembra che ci sia da lavorare, insomma.
Il terzo pensiero è di metodo e riguarda il periodo che stiamo vivendo e le difficoltà che porta con sè nell’incontrarci e fare molte cose insieme, come eravamo abituati prima dell’arrivo della pandemia. Ognuno di noi che ieri abbiamo partecipato all’incontro, quando ci siamo collegati al computer, abbiamo sicuramente pensato che sarebbe stato molto più bello incontrarci in presenza, poter scambiare opinioni, ascoltare le nostre voci. E questo è vero e non ci sono obiezioni possibili. E’ vero anche, però, ed è il rovescio della medaglia o la metà piena del bicchiere, che è molto probabile che, se avessimo fatto l’incontro in presenza, non avremmo partecipato in 90 persone come è stato possibile a distanza: di sicuro non avremmo avuto, o con maggiori difficoltà organizzative, gli interventi dei missionari, missionarie e attivisti connessi direttamente dal Congo o la partecipazione di persone dalla Spagna o da altre parti di Italia. Quando ritorneremo ad incontrarci, e torneremo a farlo, sarà molto bello recuperare il tempo perduto, ma dovremo provare a non disperdere le (poche) cose belle che questo periodo ha portato con sè: una di quelle è quella di averi insegnato, e anche costretto, a connetterci con persone di ogni parte del mondo potendo restare seduti davanti ad un computer. Non diventare dipendenti dai dispositivi informativi è un dovere, insomma, ma imparare ad usarli al meglio è utile e necessario.
L’ultima considerazione, non per importanza, è legata ai giovani. L’incontro di ieri è la dimostrazione che i giovani non hanno tanto bisogno di essere accompagnati, guidati, sostenuti: forse anche questo, certe volte, ma vanno soprattutto lasciati liberi di esprimere le loro capacità e le loro ricchezze. Se l’incontro di ieri è stato un incontro perfetto dal punto di vista logistico, curato nell’organizzazione e nella conoscenza degli argomenti e partecipato da tante persone, il merito è esclusivamente loro e della loro passione.