Per ‘governo di alto profilo‘ immagino che debba intendersi quello composto da personalità che sono fuori dalla mischia del dibattito partitico, ma che, per la loro statura istituzionale, abbiano la credibilità per poter portare un importante contributo di idee ed essere visti, dai partiti e dai cittadini, come rappresentativi del più ampio schieramento possibile. Persone, insomma, ‘universalmente’ ritenute capaci di ‘parlare’ a nome del Paese.
Vedremo quale sarà la squadra che Draghi riuscirà eventualmente a presentare. Certo che, con tutto il rispetto per lui e per il presidente Mattarella, mi pare assai arduo, in un Paese che riesce a dividersi anche sul riconoscimento della figura morale di Liliana Segre, individuare figure ‘condivise’ e sostenibili in maniera trasversale.
Il momento, in questo ha sicuramente ragione Mattarella, richiede responsabilità. Vedremo l’eventuale accordo sul programma e da chi verrà siglato, ma, se mi guardo indietro alla storia recente, in periodo come questi, di fronte alla richiesta di responsabilità istituzionale, c’è sempre stato chi questo impegno se lo è preso, non di rado pagandolo in termini elettorali e di consenso, e chi si è sfilato. Fra questi ultimi ci sono quelli che non hanno sottoscritto l’accordo perché hanno legittimamente valutato che la mediazione richiesta, rispetto alle loro idee, era decisamente troppo profonda, e chi invece lo ha fatto per mero calcolo politico, solo per lasciare ad altri il compito di guidare il Paese in tempi difficili e limitandosi al semplice e modesto passatempo di mettere in evidenza i limiti e gli errori, senza mai spendersi troppo nella ricerca delle soluzioni. E’ la politica, si dirà. In realtà la politica sarebbe ben altro, e di ben più alto profilo, questa sì, ma tant’è. Non essendoci soluzioni o strumenti di prevenzione a questo rischio, non resta che evidenziarlo, magari invitando chi questa responsabilità è pronto a prendersela a capire a quali condizioni avverrebbe questa assunzione e, se del caso, anche se e quanto ne valga la pena.
Il nascituro governo, si sente dire in queste ore, sarà un governo tecnico, in quanto composto, a partire dal Primo Ministro, da persone non parlamentari e non espressione diretta dei partiti. A me la definizione di governo tecnico fa davvero sorridere, per la sua ingenuità, o indignare, per la sua retorica ipocrita. Il governo, qualsiasi esso sia e da chiunque sia composto, perde la sua ipotetica tecnicità nel momento in cui riceve la fiducia dal parlamento: da quel momento sarà un governo delle cui ‘politiche’ saranno responsabili i partiti che lo sosterranno.
Una cosa invece, un governo così composto, dimostra ancora una volta, oltre all’irresponsabilità di chi ha provocato, voluto e cercato la crisi e tirato su una messa in scena tale da rendere impossibile il raggiungimento di qualsiasi accordo. E quello che dimostra è il livello estremamente mediocre della classe politica del nostro Paese. In altre nazioni, pensare alla Germania è fin troppo facile, la politica e i rappresentanti istituzionali, anche in questo caso al di là del merito delle scelte prese, si sono fatte carico della pesantezza del momento e hanno provato a guidarlo e orientarlo nella direzione che ritenevano opportuna. Ricevendo in cambio, peraltro, anche una conferma del consenso ricevuto precedentemente. In altri Paesi ancora, complice anche la situazione economica peggiore di quella tedesca, la guida politica ha subito maggiori fibrillazioni e instabilità. In ben pochi Paesi oltre al nostro, mi sembra, nel periodo decisivo della nostra storia recente, i partiti dimostrano un’incapacità così netta di trovare un accordo tale da costringere il presidente della Repubblica a rivolgersi ad una figura in qualche modo ‘terza’.
E’ a questo problema, soprattutto, che dovremmo mettere mano. E lo dovremmo fare indipendentemente dal fatto che un governa vedrà o meno la luce in tempi rapidi. Perché è un problema che parla al nostro presente e al nostro futuro.
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