I carabinieri del Nucleo Anti Sofisticazioni (NAS), durante una perquisizione presso l’azienda Catalent di Anagni, hanno trovato ventinove milioni di dosi di vaccino Astra Zeneca, pronte per la distribuzione.
Dai primi accertamenti effettuati c’è il forte dubbio che quelle fiale fossero pronte per volare verso il Belgio o il Regno Unito, dove il processo di vaccinazione della popolazione procede a gonfie vele. Proprio dal Regno Unito, grazie al premier Boris Johnson, arriva la seconda notizia interessante della giornata di ieri, fortemente collegata alla prima. Intervenendo ad una iniziativa pubblica, il premier britannico, che è lo stesso che all’inizio della pandemia aveva evocato l’immunità di gregge come unica soluzione al dilagare del virus, salvo poi fare marcia indietro dopo essersi lui stesso ammalato gravemente, ha detto chiaramente che i successi del Regno Unito nella campagna vaccinale sono da attribuirsi, testuali parole, a “rapacità e capitalismo”.
Poco dopo, probabilmente rendendosi conto della gravità dell’affermazione, ha riconosciuto di aver sbagliato e ha chiesto di “cancellare questa frase dalla memoria collettiva“.
Ma, al di là del cinismo crudo e irricevibile della frase buttata lì, davvero quanto detto da Johnson è così sbagliato? Oppure la marcia indietro è dovuta al fatto che rappresenta una realtà che non si può e non si vuole rendere di pubblico dominio?
Rapacità, come dimostra la scoperta del Nas, non è in questo caso, secondo me, un sostantivo da mettere insieme all’altro, capitalismo, ma un aggettivo da unire al sostantivo. Capitalismo rapace, avrebbe dovuto dire il premier Johnson. Un capitalismo che non mette nessuna attenzione sulla giustizia, sulla equità e sul perseguimento della pace, ma che punta, proprio con rapacità e cinismo, ad accaparrarsi le risorse necessarie.
Lo stesso capitalismo rapace che vede nel commercio delle armi (è un’altra notizia di questi giorni il continuo proliferare di questo traffico) un’attività economica come le altre: e così, mentre da una parte vengono chieste sanzioni nei confronti dell’Arabia Saudita per la guerra nello Yemen, dall’altra si continua a vendere le armi a questo Paese, ben consapevoli, immagino, che le stesse saranno utilizzate nella guerra che, a parole, si dice di voler fermare.
Da Anagni, dove si consumò il celebre ‘schiaffo‘ nei confronti di Papa Bonifacio VIII, arriva stavolta un duro, ennesimo e duplice colpo anche alla credibilità dell’Unione Europea. Il presunto traffico, se confermato, rischierebbe di mandare un messaggio devastante, relativo al fatto che chi esce dall’Unione Europea, così come ha fatto il Regno Unito, avrebbe più possibilità e più strumenti nella lotta al virus di chi resta dentro e rispetta alcune regole di collaborazione e di condivisione delle necessità e dei bisogni. Sicuramente, e questa è la cosa più grave, è chiaro il fatto che le istituzioni comunitarie, con il loro sistema infinito di regole e leggi, non sono state ancora in grado, nè più probabilmente lo hanno voluto, di creare un sistema di distribuzione tarato sulle reali necessità e ispirato ai minimi valori di equità, giustizia e cooperazione. Tanto che decine di milioni di dosi, in un momento nel quale dovrebbero tutte essere utilizzate nel modo migliore e nel tempo più breve possibile, sono quasi nascoste in un magazzino di uno dei Paesi fondatori.