Sta nelle beatitudini evangeliche il motivo per cui il giudice Rosario Livatino, ucciso dalla mafia il 21 settembre del 1990, sarà proclamato Beato; sta in particolare in quelle che recitano “Beati i perseguitati a causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli” e “Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.”

Livatino, dopo un percorso di studi eccellente, che lo aveva portato giovanissimo in magistratura, era stato fra i primi ad applicare la legge Rognoni-La Torre, che prevedeva la confisca dei beni sequestrati ai mafiosi: una conquista epocale per lo Stato di diritto, una svolta che il deputato del Partito Comunista aveva pagato con la vita. Il giovane giudice era stato retto e inflessibile nell’applicare questo nuovo strumento, fedele alla Costituzione sulla quale aveva giurato e alla giustizia evangelica che era sempre stata il suo faro.
“Vedo nero nel mio futuro, che Dio mi perdoni”, aveva detto, forse prevedendo la fine che si stava avvicinando per aver toccato interessi troppo importanti per i mafiosi locali. Nonostante questo aveva continuato a viaggiare senza scorta, per non mettere in pericolo, diceva, altri padri di famiglia.
La sua fede profonda si incarnava anche nel modo in cui svolgeva il suo lavoro. Diceva: “quando moriremo nessuno ci verrà a chiedere quanto siamo stati credenti, ma credibili.” E allora la sua credibilità, come magistrato e come credente, la esercitava facendo giustizia, applicando la legge e il Vangelo, consapevole di quanto la mafia offendesse la dignità umana e lo sviluppo del suo popolo.
L’agguato avvenne sulla strada fra Canicattì e Agrigento. Ferito, provò a fuggire nei campi inseguito dai suoi assassini, ma venne raggiunto e ucciso.
Sull’agenda ritrovata sul luogo del delitto, alla prima pagina, c’erano scritte le lettere STD che significano “Sub Tutela Dei”.
Viviamo un tempo nel quale avremmo sempre più bisogno di testimoni, di persone che siano capaci di incarnare i valori non solo e non tanto annunciandoli, ma vivendoli e concretizzandoli quotidianamente. Sarebbe bello se questo momento così significativo dal punto di vista della fede cristiana, la beatificazione di un giovane magistrato ucciso, potesse costituire lo stimolo anche per una riflessione profonda sul coraggio e l’esempio di quella ‘conversione civile’, intesa come cambiamento radicale rispetto ad una mentalità e ad un sistema di potere largamente diffusi nel suo contesto di vita, della quale Rosario Livatino è stato protagonista fino al martirio.