La voglia di libertà che stimola l’umanità

La situazione che stiamo vivendo, costretti a casa, intimoriti e impossibilitati a vivere la nostra vita serenamente ci dà, finalmente, la consapevolezza della nostra libertà e del suo valore. E ce la dà proprio in virtù dell’impossibilità di esercitarla fino in fondo. E’ normale, quando viviamo da sempre una situazione per un lungo periodo tendiamo, ad un certo punto, a darla per scontata. E non ci domandiamo più perché la viviamo, se continueremo a viverla e a quale prezzo. Per noi fino a qualche giorno fa era scontato poter uscire di casa, fare le nostre cose senza limitazioni collettive. Non ci saremmo  mai immaginati che la nostra quotidianità sarebbe potuta cambiare in così poco tempo. Eppure proprio oggi, grazie o per colpa di questo stravolgimento, siamo consapevoli del valore inestimabile della nostra libertà, proprio perché ci manca terribilmente. Finalmente, solo in questo finalmente, ci rendiamo conto di quel valore. Speriamo che quando questo incubo sarà finito saremo almeno più consapevoli di quanto sia importante la nostra libertà, e di che gran dono sia poterla vivere quotidianamente.

La situazione che stiamo vivendo in questi giorni, però, ci sta facendo anche riscoprire  un senso di umanità che forse in qualche modo stavamo perdendo. Certo, anche in questa situazione, rimangono alcuni incorreggibili odiatori professionisti che cercano il colpevole e continuano a vomitare odio nei confronti di qualcuno. Ma la maggioranza delle persone, sarà la paura o l’insicurezza, sta iniziando a valorizzare un senso di comunità e di umanità. Non solo i medici e il personale, sanitario e non, che lavora negli ospedali;  anche nel nostro piccolo mondo di relazioni mi sembra che sia diminuito quel sentimento di sospetto e di diffidenza fino a poco tempo fa dominanti, l’indifferenza nei confronti delle sorti dell’altro. Niente di eroico, certo, ma mi sembra  di veder riaffiorare una solidarietà diffusa, fatta anche di piccoli gesti, una parola, un piccolo aiuto concreto, come il fare la spesa per chi non può farla da solo, o semplicemente condividere un timore o una paura. Sì, perché condividere i sentimenti ci aiuta a viverli. E non dover, o semplicemente non essere nelle condizioni di, sparare in faccia a qualcuno qualche cattiveria ci aiuta a viverli meglio. Anche in questo caso: se alla fine di questa terribile esperienza, proprio per il fatto che il virus agisce indistintamente e che non prevede colpevoli ma solo vittime, avremo recuperato almeno una parte di quel senso di uguaglianza che avevamo drammaticamente perso, allora anche questo tempo non lo avremo vissuto invano.

Sì, perché la solidarietà che sta timidamente tornando ad essere un valore e non il suo contrario è un tratto da sempre caratteristico della nostra popolazione. E vedere oggi non solo l’abnegazione dei tanti medici e infermieri, ma anche l’impegno di migliaia di volontari della protezione civile nell’alleviare la sofferenza dei più fragili apre il cuore e dà speranza.

“Andrà tutto bene”, è lo slogan del momento. Lo odio, questo slogan. Perché è il residuo, spero l’ultimo, di quell’individualismo dilagante. Forse questo slogan potrà servire a rasserenare qualcuno, ma come possiamo dire che andrà tutto bene dopo che contiamo già più di tremila morti? No, non andrà tutto bene, sta andando e andrà malissimo. Ma se davvero recuperiamo e rafforziamo quel senso di umanità e solidarietà potremo dire che ‘ci rialzeremo’. Come comunità, come paese, come famiglia umana. Ci rialzeremo nel senso che sapremo ripartire mirando a costruire un mondo più giusto e solidale, nel quale la sofferenza dell’altro, di chiunque altro, è anche un po’ la mia. Niente sarà più come prima, dopo questa esperienza. Ma possiamo uscirne più forti.  Anche in memoria e per quelli che non ce l’hanno fatta.

Ma, che cosa cerchiamo?

La nostra vita è una continua ricerca. Ma cosa cerchiamo, in fondo? Sappiamo fare selezione delle cose davvero utili e di quelle di cui possiamo fare a meno durante la scalata? Nella mia vita ci sono vari livelli di ricerca. Quello più immediato è legato alla ricerche essenziali: la salute, la serenità, delle persone a cui voler bene e che me ne vogliano. Ma in fondo a tutti gli scalini, anche se andiamo più in profondità, la domanda centrale per me è: qual è il senso della mia esistenza e di quella degli altri? In fondo niente ha significato se la nostra vita non lo ha. Ecco quindi che alla fine la più semplice delle domande ha la più complessa delle risposte. Il senso della vita. Io credo che il Signore mi abbia fatto la grazia di darmi la curiosità e di spingermi verso alcuni degli infiniti luoghi nei quali ci stanno le persone da Lui prediletti: gli ultimi, i piccoli, i bisognosi. Mi ha indicato quei luoghi per darmi le lenti giuste per osservare la mia realtà e affrontarla senza eroismi ma con consapevolezza. Tante volte pensiamo che le nostre quisquilie quotidiane siano centrali per il futuro dell’umanità. Solo se ci mettiamo a guardarla davvero, quella umanità, riusciamo a dare la giusta collocazione alle nostre piccole beghe. Per l’amor del cielo, nessuna retorica: quando stiamo male per le nostre cose non è consolante, e non sarebbe neppure giusto, imporci di stare bene perché c’è chi sta peggio. Ognuno vive la propria vita, e non può essere altrimenti. Ma mettere la propria vita all’interno, e non al centro, del mondo può però aiutarci a proporzionare il nostro stato d’animo e le nostre reazioni. E soprattutto a capire che la nostra ricerca quotidiana, quella che non avrà mai fine, è finalizzata ad una ricerca più grande e complessa: dare un senso al nostro essere venuti al mondo.

Guida dei miei passi

La consapevolezza della Sua presenza illumina il cammino e rende visibili gli ostacoli, che pure restano. Così, il volto del Signore è quello di una guida alpina che ci accompagna nella scalata, ci rassicura e ci mostra i pericoli. Procede davanti a noi e ci indica la strada migliore, quella più sicura. Ma che anche ci lascia liberi di scegliere quella più impervia, sotto la nostra responsabilità. Affascinato ma anche rassicurato da questo volto di Dio, cerco di farmene portavoce nei confronti delle persone che incontro sulla mia strada, soprattutto quelle più giovani e, forse, più bisognose di incoraggiamento.

I passi del Signore ci precedono. E’ questa convinzione che mi trasmette pace. Se lui ha già fatto un percorso non permetterà che il nostro cammino ci porti alla perdizione. Incontreremo degli ostacoli, talvolta, come in questo periodo, faremo fatica a capire il senso di quello che stiamo vivendo, ma Lui è davanti a noi, conosce già la fine della storia, anche quella che sembra volgere al peggio. In questo senso mi sento chiamato a testimoniare la speranza. A non perdere la fiducia nella Sua guida e nel Suo conforto. Anche nei momenti più bui è davanti a noi, ci guida nell’esodo verso una nuova terra promessa di pace e serenità. Arriveremo alla vetta di questa scalata e vedremo uno splendido paesaggio davanti a noi.

Un mistero da vivere

Hai voglia di dire che ci piace il brivido della novità. Sì, ma molti di noi quando avvengono dei fatti che sconvolgono i nostri piani reagiamo con preoccupazione e smarrimento. Io sono abbondantemente fra questi e questi giorni di ‘reclusione’ forzata per il coronavirus me lo stanno dimostrando. Credo di essere da questo punto di vista una persona piuttosto banale, la routine mi coccola, forse perché spesso sono abbastanza capace di vedere i piccoli aspetti di novità anche in questa. Resta il fatto che quando un piccolo o grande ‘terremoto’ fa ballare le mie certezze faccio fatica ad accettare il cambiamento, e ancora di più di non capire. Mi capita spesso, in questi casi, di cercare una soluzione che molte volte non c’è, almeno nell’immediato, per poter tornare allo status quo. Banalizzando il problema mi sembra forse di sentirlo più facile e meno impegnativo, anche se quasi subito mi rendo conto che non è così. E allora provo a risolverlo con le mie forze, anche quando so bene che non sono sufficienti. La prima preoccupazione è per le persone a me più vicine, con il pensiero di dover essere io a salvare il mondo che mi circonda, le persone che mi circondano e che in qualche modo dipendono da me, magari rendendomi conto in breve tempo che non sono in grado. Frustrazione, preoccupazione e impotenza, quindi, sono i miei compagni di viaggio quando qualcosa sconvolge i miei piani. In questi giorni per esempio sto cercando di seguire le raccomandazioni della protezione civile per contenere questo maledetto virus, stando in casa, evitando i contatti, lavandomi le mani seimila volta al giorno. Ma, nonostante questa attenzione nell’attenermi alle raccomandazioni, ho fretta di arrivare a delle conclusioni, di prevedere il futuro, di sapere come finirà. Non sono capace di vivere il mistero, quel mistero che abita la vita di ognuno di noi e che qualche volta si fa più evidente.

Generalmente, quando l’imprevisto finisce, mi trovo a fare il resoconto di quanto successo e mi rendo conto di quanti comportamenti inappropriati ho avuto, di quanto sarebbe stato più facile e meglio fare quello che potevo ma consapevole della mia limitatezza e vivere il mistero nella sua incomprensibilità.

La morte, pochi mesi fa, del mio babbo, mi ha fatto proprio rendere conto del mistero e della sua imprevedibilità. Un uomo grande e forte travolto in pochi mesi da una malattia inesorabile e incurabile. Tante domande, nessuna risposta, se non, come canta Francesco Guccini, “che siamo poco, o che non siamo niente.” Questa vicenda dolorosa mi ha però dimostrato ancora una volta che il mistero della vita esiste davvero. E che l’unico modo per viverlo senza farsi travolgere è custodirlo, starci dentro, lasciando aperte quelle domande che in quei momenti non trovano risposta. L’esperienza di questi mesi mi ha detto che forse quelle domande non troveranno mai risposta ma, forse, forse, si inseriranno dentro ad un quadro più comprensibile e meno doloroso.

Nel silenzio

In questi giorni di inattività forzata è più facile ascoltare la mia voce, riflettere, pensare. C’è così tanto silenzio e poca concitazione che talvolta la calma fa quasi paura. Un caos calmo. Eppure anche in questo silenzio, in questa calma apparente, è così difficile mettere a tacere le voci esterne. Ognuno di noi è sommerso dalle notizie che arrivano su questo virus, spesso drammatiche, come se l’accavallarsi dei numeri cambiasse la sostanza del problema e se quello che dobbiamo fare non fosse già noto: stare in casa. E quando la nostra mente si sovraccarica di informazioni e preoccupazioni non riesco più a staccare la spina, a raggiungere il silenzio. E per me, che di natura sono particolarmente ansioso, questo è un problema notevole. Un problema al quale, però, ho al momento trovato due soluzioni: la preghiera e la camminata proibita. Abito accanto ad un piccolo corso d’acqua che confluisce nell’Arno. Per me è stato facile, quindi, in questi giorni, evadere dalla reclusione forzata, prendendo l’argine del fosso e arrivare fino al fiume. Una camminata insieme al mio cane, innocente e innocua, visto che in tutto il percorso avrò incrociato, nel complesso, due o tre persone. Un diversivo, però, che mi ha consentito di svuotare un po’ il cervello e di tornare a casa più libero e più sereno. E poi la preghiera. Il momento di coraggio della giornata, nel quale affido a Lui le mie preoccupazioni e sento davvero di non essere solo, di avere realmente qualcuno che mi accompagna e mi porta con sè. Nel deserto delle cose da fare e delle sicurezze sento davvero una presenza che mi accompagna. Anche nel periodo doloroso della malattia improvvisa e della morte di mio padre ho sentito forte la presenza del Padre. Che non toglie il dolore, ma che lo rende vivibile, che toglie quella parte di giogo che altrimenti sarebbe insopportabile. E sono arrivato ad una consapevolezza. Che il Signore c’è sempre. Siamo noi che spesso abbiamo bisogno di un deserto per sentirlo, perché se non viviamo il deserto, spesso, ci sentiamo onnipotenti e pensiamo di non averne bisogno.

Presentati (articolo di esempio)

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